Praticare Tai Chi (o più correttamente Taiji) rallenta l’invecchiamento, migliora la funzionalità cardiovascolare e aumenta la forza muscolare, soprattutto negli anziani, ma produce un effetto positivo anche sull’ipertensione. Sono ormai molteplici le ricerche che giungono a risultati simili.
Uno studio del Centro di Neuropsichiatria – China Medical University Hospital di Taichung (Taiwan), pubblicato su Cell Transplantation, è l’ultimo in ordine di tempo a sottolinearne i vantaggi in termini di benessere generale.
Il prof. Shinn-Zong Lin, coordinatore dello studio, e i suoi colleghi hanno analizzato gli effetti dell’antica pratica su un gruppo di volontari con meno di 25 anni suddivisi in tre sottogruppi.
Il primo gruppo ha praticato Tai Chi (TCC), il secondo si è limitato ad effettuare camminate a passo svelto (BW) e il terzo non ha fatto nulla (NEH). Dai risultati è emerso che nel gruppo Tai Chi si verificava un aumento nel cluster di differenziazione nell’espressione delle cellule 34 (o CD34+), un tipo di cellula staminale importante per un certo numero di funzioni e strutture del corpo.
Attraverso uno studio retrospettivo della durata di un anno, i ricercatori hanno verificato il potenziale effetto benefico di allungamento della vita grazie alla disciplina, mettendo a confronto i tre gruppi di volontari.
«Rispetto al gruppo NEH, il gruppo TCC ha beneficiato di un numero significativamente più elevato di cellule CD 34+ cellule. Abbiamo trovato che la conta delle cellule CD34+ del gruppo TCC era significativamente superiore rispetto quelle del gruppo BW».
Si tratta di cellule che esprimono la proteina CD 34 e vengono anche definite «indicatori di cluster» delle cellule staminali ematopoietiche (cellule staminali) coinvolte nel processo di auto-rinnovamento, differenziazione e proliferazione. Aiuterebbero cioè l’organismo a restare giovane.
Ma sono tante le ricerche che evidenziano gli effetti positivi del Tai Chi, ad esempio quella dell’Hong Kong Polytechic University, pubblicata sullo European Journal of Preventive Cardiology. Lo studio ha riguardato un totale di 65 soggetti anziani divisi in due gruppi. Il primo, formato da 29 persone, aveva praticato Tai Chi tre volte alla settimana per un’ora e mezza e un periodo di tre anni, mentre il secondo, formato da 36 persone, era completamente a digiuno della pratica.
Gli appassionati di Tai Chi mostravano parametri migliori, riguardo la pressione arteriosa, quella del polso e la resistenza vascolare, con un miglioramento notevole anche relativamente alla conformità delle arterie grandi e piccole e alla forza muscolare.
L’autore della ricerca William Tsang, spiega: “questo è il primo studio che esamina i possibili effetti del Tai Chi sulla compliance arteriosa, confrontando i praticanti anziani Tai Chi con i coetanei non praticanti. Riteniamo che il miglioramento provocato dagli esercizi dipenda dalla combinazione di allenamento aerobico, stretching, concentrazione mentale e meditazione promossa dai movimenti tipici del Tai Chi. Un ulteriore vantaggio che favorisce la promozione della disciplina tra gli anziani è che può essere praticata in qualsiasi momento e ovunque, senza vincoli di apparecchiature o palestre”.
Un’altra ricerca è giunta alle stesse conclusioni, facendo coincidere la pratica orientale con un effetto protettivo nei confronti dei pazienti che soffrono di insufficienza cardiaca.
Pubblicato su Archives of Internal Medicine, lo studio del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston ha coinvolto 100 pazienti affetti da scompenso cardiaco, dividendoli in due gruppi. Ai primi sono state proposte lezioni di Taiji di un’ora per due volte alla settimana e un lasso di tempo di 3 mesi. Gli altri hanno seguito semplicemente delle lezioni di educazione alla salute per la modificazione delle abitudini alimentari e dello stile di vita. Malgrado alla fine della sperimentazione non si fosse modificata la capacità di percorrere i sei metri in piano – uno dei test usati per valutare la funzionalità cardiaca – né la quantità di ossigeno nel sangue, la qualità di vita dei pazienti era decisamente più alta, con un miglioramento dell’umore e una migliore predisposizione nello svolgimento dell’attività fisica. Il Taiji è riuscito cioè a rompere il circolo vizioso per il quale il paziente, non riuscendo a praticare un’adeguata attività fisica, continua a peggiorare.
La ricercatrice Gloria Yeh spiega: “in passato i pazienti con scompenso sono sempre stati considerati troppo fragili per qualsiasi tipo di esercizio fisico: fino agli inizi degli anni ’90 la prescrizione di astenersi da qualsiasi attività era comune. In realtà oggi sappiamo che non è così e abbiamo deciso di mettere alla prova il Taiji perché si tratta di un’attività ‘dolce’, un esercizio ‘meditativo’ che non dovrebbe comportare sforzi eccessivi ma al contempo potrebbe essere vantaggioso per impedire la totale immobilità dei pazienti, che innesca un circolo vizioso peggiorando ulteriormente le capacità di movimento. Il Taiji è sicuro e i pazienti lo hanno praticato molto volentieri e con costanza. Se ci fossimo limitati a considerare soltanto la capacità fisica di esercizio non avremmo trovato grossi vantaggi, ma aumentare il benessere dei pazienti non si limita a questo: un miglioramento dell’umore e della qualità della vita, la voglia di impegnarsi in piccole attività motorie ogni giorno sono anch’essi benefici importanti per i malati”.
La stessa ricercatrice aveva coordinato un meta-studio sul Taiji per valutarne gli effetti antipertensivi, concludendo che la pratica orientale rappresenta una valida alternativa agli esercizi fisici tradizionali, in particolare per i pazienti pigri e con scarsa volontà. Potrebbe costituire inoltre una sorte di attività-ponte che conduca nel tempo ad altri esercizi più impegnativi
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